Attingendo alle notizie raccolte dallo scrittore Pasquale Colucci, il quale ha realizzato il libro “La tragica avventura africana del carabiniere baianese Nicola Litto” descriviamo la vita di quest’uomo eroico, pronto a sacrificare la propria vita per quella degli altri, nell’adempimento del suo dovere.
Nicola Litto nasce a Baiano il 7 Maggio 1906 da Giovanni e Filomena De Stefano ed è il secondo di cinque figli.
Si arruola nell’Arma dei Carabinieri nel 1925, prestando servizio prima nella legione di Treviso, poi a Bari e dal 1929 a Catanzaro, dove viene nominato “tiratore scelto”.
Nel 1933 fu trasferito a Napoli, l’anno successivo partecipò alla missione del contigente italiano nella Saar per il mantenimento dell’ordine pubblico; rientrò a Napoli nel marzo del 1935 e chiese di essere inviato in Eritrea: il 3 aprile 1935 Nicola Litto sbarcò a Massaua.
Al suo arrivo, complici le condizioni atmosferiche a cui non era abituato, dovette combattere con una serie di gravi problemi di salute, infatti, fu ricoverato all’ospedale di Asmara poiché era affetto da malaria, non riuscendo neanche a dare notizie di sé ai familiari.
In seguito, data la sua salute cagionevole, rimase presso la compagnia di Asmara in qualità di scrivano.
Nelle numerose lettere che, dopo la sua malattia, riusciva a scrivere alla sua famiglia, si evince tutta la sua generosità e bontà d’animo, infatti il suo unico pensiero era rivolto al benessere dei suoi cari, ai quale spediva una parte del suo stipendio, conservando il resto per poter finalmente sposare, al suo ritorno dall’Eritrea la fidanzata, la signorina Antonietta Mobilio che aveva conosciuto a Castronuovo di Sant’Andrea (in provincia di Potenza), dove aveva prestato servizio per qualche anno.
Nicola Litto, mostrava tanta nostalgia in tutte le lettere che spediva, non solo per la famiglia, ma anche per le piccole gioie legate ai sapori della propria terra, i semplici sapori della tradizione contadina, tanto che in una lettera chiede alla sorella la cortesia di spedirgli nel pacco una scatola di latta con dentro i funghi, che a lui piacevano tanto.
Dal momento che la sua salute era sempre precaria, il suo comandante di stazione stabilisce che il compito da scrivano che gli era stato affidato era troppo oneroso e quindi Nicola Litto, comincia a lavorare quattro ore di giorno, passando la notte a letto per recuperare le forze.
Il 3 Ottobre 1935, con l’attraversamento dei fiumi Mareb e Belsa dei corpi d’armata italiani, iniziò l’invasione dell’Etiopia e Nicola Litto, insieme ai suoi compagni è chiamato a formare le nuove stazioni, che venivano impiantate man mano che l’Etiopia veniva occupata dalle truppe italiane. L’entusiasmo di quel momento è alle stelle, come scrive lo Stesso Nicola Litto in una delle sue numerose lettere alla famiglia.
Dopo lo scoppio delle ostilità, dal servizio investigativo Nicola Litto, forse per sua espressa richiesta, fu destinato ad un nuovo tipo di servizio, che purtroppo si sarebbe rilevato fatale ma che egli accettò volentieri, tanto che nelle sue lettere descrive con orgoglio le sue mansioni. Egli, infatti, era di scorta al furgone postale, che raccoglieva i vaglia con cui gli operai spedivano i soldi alle loro famiglie, per poi andare a Massaua o ad Asmara a fare i versamenti.
Il 17 gennaio del 1936, Nicola Litto rischiò la vita rimanendo coinvolto in un incidente stradale; rimase talmente sconvolto che chiese ai suoi familiari di far dire una messa in onore di S. Stefano per la grazia che aveva ricevuto, senza sapere che di lì a poco la sua vita sarebbe andata incontro ad un tragico epilogo. Egli, costantemente, cercava di infondere nei suoi familiari quella tranquillità che in realtà non aveva, dato che il servizio che svolgeva diventava di giorno in giorno più pericoloso, nonostante ciò, infatti, riusciva a descrivere le piccole gioie che egli sapeva assaporare anche in una terra così dura.
Durante la sua permanenza in Africa, Nicola Litto manteneva i contatti con i baianesi che come lui erano al fronte, uscendo spesso con loro proprio per sentire meno la mancanza della sua Patria in cui purtroppo non sarebbe tornato vivo. L’ultima lettera che scrisse alla famiglia, era indirizzata al fratello Vittorio a cui aveva chiesto di partire per Asmara e raggiungerlo, per aprire un negozio di riparazione di orologi, che avrebbe potuto portargli qualche guadagno.
Il 12 febbraio 1936, col furgone postale che egli scortava, Nicola Litto giunse nella località di Utok Emni, nell’accampamento annesso al cantiere n. 1 della società Gondrand, impegnata nella costruzione di una strada diretta ad Adua. Durante la notte, un nucleo di circa 500 uomini del ras Immirù attaccò l’accampamento; in questa incursione persero la vita gli operai del cantiere, l’ingegnere capo dei lavori con sua moglie e, tra i soldati che tentarono strenuamente di difendere l’accampamento, il carabiniere Nicola Litto, colpito in pieno da una fucilata.
La notizia dell’uccisione di Nicola Litto destò profondo dolore non solo nei familiari, ma anche nell’intera comunità baianese che, infatti, partecipò compatta alla messa solenne celebrata il 20 febbraio nella chiesa madre di Santa Croce. Al rito parteciparono telegraficamente S.E. il Prefetto e il Segretario Federale di Avellino, il Comandante della Compagnia dei RR. CC., le Autorità amministrative e politiche del mandamento, tutte le organizzazioni del Partito Nazionale Fascista e l’intera popolazione; dell’avvenimento si occupò, qualche giorno dopo, il quotidiano “Il popolo di Roma”.
Il 5 giugno 1938, nella festa per l’annuale dell’Arma dei RR. CC., fu conferita la medaglia d’argento alla memoria dell’eroe Nicola Litto, consegnandola al fratello di lui, Vittorio. Il 27 luglio 1941, durante una solenne cerimonia, fu scoperta una lapide sulla facciata del palazzo comunale in ricordo di Nicola Litto. Sempre nello stesso anno, gli fu intitolata una strada, infatti, via Tufo, nell’antico quartiere dei “Vesuni”, divenne via Nicola Litto; infine, nei primi anni ’50 a Nicola Litto fu intestata anche la storica caserma dei Carabinieri di Avellino, nel centralissimo corso Vittorio Emanuele, dove peraltro fu collocata una lapide in bronzo in ricordo del carabiniere baianese, con la motivazione della medaglia d’argento.